Le Luci di Hannukka – Hillel e Shammai

17/12/2011 Off di Miriam Oryah

Rabbi Avraham Sutton
Nel Talmud (Shabbat 21b) leggiamo: quando Rabbi Shammai accese i lumi di Chanukah, ne accese 8 la prima sera, 7 la seconda, 6 la successiva…e finalmente – l’ultima sera – accese un solo lume. Rabbi Hillel ribaltò l’ordine. Lui accese 1 lume la prima sera, 2 lumi la seconda sera, 3 la terza… fino ad accenderne 8 l’ultima sera.
Chiaramente, il numero 8 (e il suo profondo significato) è il fattore centrale del loro disaccordo. Ma perché Shammai iniziò con 8 lumi e finì con 1, mentre invece Hillel iniziò con 1 e finì con 8? Cose c’è dietro a questa loro “disputa”?
Fondamentalmente, come capiremo subito, Hillel e Shammai impersonano due posizioni archetipiche. La posizione di Hillel si collega all’Olam haZeh (questo-mondo fisico), mentre quella di Shammai si collega all’Olam haBa (il mondo spirituale). Questo significa che la posizione di Hillel si adatta di più alla realtà di questo mondo fisico, mentre la posizione di Shammai è più vicina al livello di esistenza che sarà ristabilito nel mondo futuro. Si insegna inoltre che la Halakhah, la legge religiosa ebraica, nel mondo a venire in futuro sarà secondo la via di Shammai. Nel frattempo la maggior parte di noi segue Hillel.
La posizione di Hillel è quindi più umana e vicino alla terra (consapevole delle limitazioni dell’esistenza fisica, del corpo), mentre quella di Shammai è più angelica e vicina al paradiso (consapevole delle esigenze dello spirito, dell’anima). Questo si riflette nei loro due nomi. Shammai è simile a Shamayim, cielo. Hillel è collegato alla radice ebraica hallel, che significa lode, e hal, che significa luce, e precisamente la luce di una candela che splende nel buio ma che non disperde il buio.
Capirete meglio (come è successo a me) usando un esempio. Ci sono altri due esempi di “dispute” fra Shammai e Hillel. Dopo aver descritto le “dispute”, vedremo se riusciremo a identificare un unico filo che le lega tutte insieme:
Nel Talmud (Betza 16) leggiamo: quando Shammai vedeva un bellissimo vitello o una mucca il primo giorno della settimana, diceva, “Voglio comprare questo bellissimo vitello in onore del santo Shabbat”. E così faceva. Quando ne vedeva di ancora più belli il martedì o il mercoledì, li comprava per santificare lo Shabbat e mangiava quello che aveva già comprato precedentemente in quello stesso giorno della settimana. In questo modo ogni sua azione era dedicata ad onorare lo Shabbat.
Quando Hillel vedeva qualcosa di bello la domenica, lo comprava e ne usufruiva quello stesso giorno, dicendo, “Che Hashem sia benedetto yom yom (ogni giorno)!” (Tehillim 68:20).
In Talmud Succah 3a leggiamo: se qualcuno non aveva abbastanza spazio nella sua Sukkah per gli ospiti, più il tavolo da pranzo ricolmo di cibo, Hillel diceva “Finchè la testa e la maggior parte del corpo è all’interno della Sukkah, è accettabile”.
Shammai non era d’accordo, sostenendo che quella persona non avrebbe adempiuto alla mitzvah di Succah fino a quando tutto il suo corpo e tutto il tavolo non fossero stati totalmente all’interno delle quattro pareti della Sukkah.
Lo Shabbat rappresenta il mondo nuovo, la totale elevazione di tutto ciò che appartiene alla terra fino alla più alta dimensione del Mondo-a-venire. È normale che il “celestiale” Shammai volesse dedicare tutto quello che vedeva al santo Shabbat. Naturalmente, anche Hillel ama lo Shabbat. Ma lui tiene in considerazione il fatto che viviamo in questo mondo, che siamo umani, fisici, etc, etc. Di conseguenza ci insegna che dovremmo benedire Hashem (riconoscere la Sua presenza) anche durante i giorni della settimana, cioè dovremmo vedere la Sua provvidenza nelle nostre vite anche nella realtà triviale di questo mondo. Ovviamente, ripeto, Hillel aveva lo stesso livello di santità di Shammai ma lui rappresenta la legge e il modo in cui essa si applica a chiunque, mentre Shammai impersona la legge che riguarda quelli che cercano di arrivare a una spiritualità elevata anche in questo mondo.
Chanukah: immaginate di voler pulire un grande ripostiglio pieno di ogni tipo di mobilia e attrezzi, insieme a innumerevoli scatole grandi e piccole e una marea di sporco. Normalmente inizieremmo con le cose più grandi occupandoci poi dei pezzi più piccoli, per finire pulendo e svuotando l’intero magazzino.
Questo è quello che dice Rabbi Shammai: immaginate di guardare il mondo dal cielo. Visto dal cielo il mondo intero è riempito della luce di Hashem [e Luce significa bontà]. Ma, un momento! Guardate giù verso la terra. Lì c’è un punto scuro. Fuori i laser! Sparate i razzi luminosi più potenti che avete! Eliminate l’oscurità: 8,7,6,5,4,3,2… fino a quando non ci sarà più neanche un’ombra ad oscurare la luce – solo una luce lì sotto che corrisponde all’unica luce di Hashem che sta in alto.
Ma Hillel vede le cose dal basso dove c’è l’oscurità. Qual è la cosa più importante da fare quand’è buio? Dobbiamo fare un po’ di luce! E qual è la cosa più importante da fare quando abbiamo commesso errori? Imparare da questi; imparare dai nostri errori e da quelli altrui. Ahi! Gli errori fanno male. Ma un poco per volta possiamo imparare, perché la terra è una scuola. Possiamo aumentare la luce, 1,2,3,4,5,6,7… fino a trascendere i nostri limiti dal basso verso l’alto, raggiungendo il livello di 8, oltre la natura.
Cerchiamo di capire questo: anche Hillel (la luce che splende nell’oscurità) desidera la trascendenza. Solo che lui impersona il modo di arrivare a quella trascendenza per una via diversa. Per Hillel si tratta di un processo step-by-step. È come quando si va a scuola, si comincia con la prima, poi si passa alla seconda, alla terza, e alla fine ci si ritrova in quinta. Poi si passa alle medie e poi a un livello ancora più alto. Hillel è la luce che ci guida mentre cresciamo fino a raggiungere la maturità completa. Lui si rende conto e capisce che non siamo e che non possiamo essere sullo stesso livello degli angeli. (Anche se allo stesso tempo lui stesso era incredibilmente angelico.)
Anche Succah rappresenta la trascendenza da questo mondo. Hillel dice: “Ok, se la tua testa (i tuoi pensieri) e la maggior parte del tuo corpo (la maggior parte dei tuoi desideri) sono dedicati a servire Hashem, allora, anche se la tua tavola non è dentro la Succah (cioè anche se i tuoi desideri per i piaceri di questo mondo non sono stati ancora annullati e non sono ancora scomparsi), tu avrai adempiuto alla mitzvah.”
Shammai dice: “No, non è abbastanza. Non è abbastanza che tu abbia portato i tuoi pensieri nella Succah e che tu abbia dedicato tutti i tuoi desideri fin troppo umani al servizio del cielo. Devi migliorare per arrivare a quel livello dove persino la tua tavola e tutto quello che c’è sopra (i tuoi piaceri fisici più fondamentali) sono anch’essi dentro la tua Succah (diventano cioè per te privi di significato se paragonati al piacere che provi servendo Dio).
In Talmud Berachot 52b, la casa di Shammai e la casa di Hillel si trovano in disaccordo riguardo alla formula per la benedizione che diciamo sulla candela della separazione dal Sabato dalla domenica, l’Havdalah:
Beit Shammai recita: “Baruch Atah Hashem, bara maor ha’esh -Benedetto Tu Hashem che hai creato la luce del fuoco.” Beit Hillel dice: “Borei meorei ha’esh- che crea le luci del fuoco.”
Beit Shammai pone l’enfasi sul fatto che benediciamo Hashem per un evento da Lui fatto una volta in passato (bara, che ha creato), attraverso il quale Lui ha prodotto una singola e unica luce (maor).
Beit Hillel invece sottolinea il fatto che noi benediciamo Hashem adesso, nel presente (borei, che crea continuamente), e che quell’unica luce ne ha prodotte numerose altre (meorei).
Come in precedenza, non stiamo parlando di una reale “disputa”. Beit Shammai e Beit Hillel rappresentano semplicemente due modi complementari di percepire la realtà. In questo caso, quando Beit Shammai guarda la candela dell’Havdalah, va oltre la luce fisica che vede con i suoi occhi, fino ad arrivare alla luce che Dio ha creato il primo giorno della creazione. Anche Beit Hillel vede questa luce. Ma, come sempre, desidera che noi apprezziamo quello che vediamo con i nostri occhi per poi risalire lentamente verso i livelli più alti della realtà che esiste al di sopra e oltre noi.

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